Cosa può darti un’esperienza all’estero?
Sei anni fa vivevo a Roma, un master in art direction appena finito, pronto ad aggredire un mercato del lavoro di cui ignoravo dimensioni, logiche e consuetudini.
Olè.
Il mio lavoro era quello di spuntare uno stipendio mensile al di sopra della soglia di sopravvivenza a gente che non aveva la minima intenzione di pagarmi: facevo il freelance, insomma.
Così arrivarono i primi progetti, prima un logo, poi un sito, poi la gestione delle news; imparavo a fare un po’ di tutto – male, per la verità – ma abbastanza per far bella figura con i clienti.
Mi promuovevo come web designer, e nell’istante in cui lo facevo dall’altro lato i miei clienti capivano “ragazzetto smanettone”.
Investii i primi anni della mia carriera a imparare praticamente di tutto – illustrazione, wordpress, logo design, css, javascript – una fase che i freelance alle prime armi spesso percorrono seguendo la logica del “più impari, più diventi bravo”.
Dove non esiste un vero mercato del lavoro fai di necessità virtù, e certo non ti metti a fare troppo lo schizzinoso o a chiederti se la strada che stai prendendo sia quella giusta.
Capii come funzionavano le cose la prima volta che andai a Londra.
Cosa diavolo aveva questo mercato di così tanto diverso? Fondamentalmente tre cose.
La mentalità da professionista
A Londra chi offre lavoro è una risorsa preziosa per l’azienda, la quale si contende i migliori professionisti sulla piazza a suon di soldi e benefit.
L’azienda che paga poco vede i propri dipendenti andare verso offerte più allettanti. Il professionista che lavora male viene immediatamente licenziato, perdendo credibilità in un mercato dove certe voci girano velocemente.
Così sono tutti più responsabili: in un mondo dove è facile conoscere il valore di ciò che produci, è più difficile imbrogliare da entrambi i lati.
Soldi
Sta girando in rete questa infografica (i dati si riferiscono all’America, ma gli stipendi a Londra sono allineati), che ci illustra come un professionista nel nostro settore venga ricoperto di soldi.
Ma vuoi credermi? Non è questo il punto.
Il punto è che impari a vivere in un ecosistema dove i soldi girano.
L’economia funziona, te ne accorgi dalla facilità con cui spendi o vieni pagato davvero per qualunque cosa.
Esempio? Paghi di più se prendi la metro durante le ore di punta. L’affitto della stanza è settimanale e non mensile, così da pagare effettivamente ogni singolo giorno in un anno.
Ma anche: vieni pagato se fai una prova per un lavoro, un colloquio, un meeting. Andavo in incontri dove conoscevo nuove persone del mio settore e pagavo un organizzatore che come unica attività aveva scelto luogo e orario per noi.
Cominci a dare un valore monetario a ogni singola ora della tua giornata; è delirante per certi aspetti, ma ti insegna a vivere in un modo estremamente pragmatico.
Le comunità di pratiche
Londra è troppo grande per una sola community web.
Così esiste quella di WordPress, quella di chi fa html, quella dei designer, quella dei community manager; esiste – in pratica – una comunità di pratiche per tutto, abituate a incontrarsi regolarmente nei bar a scambiarsi biglietti da visita e opinioni.
Perché questo è importante? Perché così crescono tutti: cresce il professionista che impara i trucchetti del mestiere da un suo collega, cresce il mercato perché nascono nuove opportunità di lavoro, cresce l’economia della città.
Morale?
Quando ero un ragazzetto smanettone cercavo di imparare il più possibile.
Ma se anche allora non lo sapevo, non era la conoscenza tecnica che avrebbe fatto la differenza; avevo bisogno invece di sapere come viveva chi lavorava ad altissimi livelli.
Quanti di noi hanno effettivamente messo piede nelle città dove l’innovazione si fa davvero?
E per “si fa davvero” intendo non dove accadono cose fiche, ma dove l’innovazione si misura in ricchezza che produce, in numero di famiglie che campano grazie ad essa.
E non lo dico per scatenare una guerra “pro o contro Italia”, non è questo ciò che mi interessa.
Osservare un modo diverso di lavorare, specie ad alti livelli, è uno strumento per crescere. Che tu lo faccia perché hai deciso di andare via o restare nel tuo paesino di mille anime, è indifferente.
Queste sono competenze, non delle entità che resteranno per sempre al di fuori dell’Italia, e che ci condannano a sentirci degli sfigati e ad avercela con tutti quelli che se ne vanno.
Sono competenze.
E in quanto tali posso essere imparate, copiate, capite, esportate, modificate e fatte tue, ovunque tu sarai.
Misurarsi con i mercati migliori al mondo – Londra, Berlino, Israele, Tel Aviv, Dubai, San Francisco – è un po’ come acquistare un biglietto per vedere il campionato del mondo di calcio.
Hai davanti i migliori giocatori, che certo fanno lo stesso sport del campionato dilettanti sotto casa tua, ma si allenano in modo diverso, vengono pagati in modo diverso, mangiano in modo diverso, dicono cose diverse, pensano in modo diverso.
Se veramente vendiamo il nostro design, il nostro codice come arte innovativa, allora credo che non possiamo chiuderci in casa ignorando quello che succede al di là dei confini fisici e immaginari che ci auto-imponiamo.
Abbiamo bisogno di esplorare questi nuovi mondi, perché viaggiare e scoprire nuovi approcci ai soliti problemi è l’unico modo che abbiamo per crescere, per migliorare, per diventare dei professionisti.
Il nostro lavoro – e aggiungerei anche la nostra vita – è fatta di questo.
Di una continua, interminabile, crescita.
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Dove si trova la felicità? | Luca Panzarella blog
[…] invece ti dico un segreto: anche queste, come i vantaggi di una vita all’estero, sono […] -
Vita da freelance: cosa può darti un'esp...
[…] Scoprire un mondo dove la professionalità regna sovrana e i compensi sono adeguati ai tuoi sforzi? Una missione non…
Si ma per poter andare a lavorare a Londra, e guadagnere certe somme, devi essere un professionista, “uno” che le cose le sa e le sa fare altrimenti come dici tu viene licenziato. E qual’è il miglior modo per imparare se non studiando e confrontarsi con altri tuoi colleghi?
Se sei riuscito ad entrar nel mondo lavorativo londinese è perchè hai acquisito un bagaglio di nozioni ed esperienze prima.
Quindi credo che le conoscenze tecniche specifiche siano una “CONDIZIONE NECESSARIA MA NON SUFFICIENTE” per far la differenza. Oltre alle conoscenze tecniche son d’accordo che abbiam bisogno di confrontarci con altri esperti del settore (meglio se stranieri), esperti con cui dialogare e scambiarsi opinioni e metodi di lavoro. in questo modo la curva di apprendimento è molto più ripida ed è tutto a nostro e a loro vantaggio. Abbiamo bisogno di sinergie!
Sono d’accordo, ma la curva di apprendimento in Italia è troppo lenta per via di una comunicazione non trasparente tra gli addetti ai lavori (che viene compensata grazie al grande lavoro di blog come quello in cui ci troviamo!).
PS. Luca, posso chiederti dove hai fatto il master in art direction? Grazie
Un posto che adesso ha chiuso. E ho detto tutto :)
Comunque il sito è ancora online http://www.cognoassociati.it
ti ringrazio per il link del sito.
Mi fido del tuo giudizio in merito agli addetti ai lavori.
In Italia, parere strettamente personale, ho notato che tendiamo a vedere “un concorrente” come un nemico e quindi tendiamo a non essere trasparenti. Dovremmo fare uno shift mentale e vedere i nostri colleghi non come concorrenti ma come alleati con cui stringere collaborazioni.
A presto.
Donato.
Ci vediamo a Milano, non aggiungo altro!
Davide
Ciao Luca,
ogni volta che leggo articoli del genere scritti da te sento che c’è una domanda che affiora facendosi prepotentemente spazio. Adesso si è formulata chiaramente. Ecco, mi chiedo, ma c’è un motivo per cui non hai deciso di mettere seriamente le radici in una delle città innovative che descrivi sempre e in cui sei stato? Perché non hai deciso di fermarti a vivere lì e provare a realizzare il tuo fine ultimo, alla luce anche di quanto ci siamo detti l’ultima volta che ci siamo visti?
Ciao Lori, la tua domanda meriterebbe un post apposito :) Sinceramente? Non ho una risposta definitiva.
Ricordo bene cosa pensavo quando stavo tornando dall’estero, qualcosa del tipo: ho imparato tanto e sarò in grado di sfruttarlo in un territorio un po’ “sprovveduto” sul fronte freelancing-imprenditoria, dove ti lascia fare un po’ quello che vuoi.
E per tanti aspetti è stato così.
Per rimanere in America avrei dovuto fare il dipendente per chissà quanti anni e Londra è un po’ troppo: troppo grigia, troppo caotica, troppo stressante.
E così mi sono convinto che avrei potuto fare più cose in Italia, grazie anche a una nuova mentalità. Anche questo, per certi aspetti, è stato positivo: è stato più facile creare un’azienda, fare personal branding, fare dei seminari come quello che sto facendo, incontrare vecchi e nuovi amici e la mia attuale compagna.
Rimarrò per sempre qui? Non lo so, ci penso ogni giorno e, finché non trovo una risposta definitiva, cerco di sfruttare al massimo il tempo e gli strumenti che ho per rendere il posto in cui mi trovo migliore rispetto a come l’ho trovato.
Tutti argomenti del mio prossimo libro, te l’ho detto che fa per te ;)
Ciao Luca,
il tuo post cade proprio a pennello. A gennaio mi trasferirò a Londra per cercare “nuovi stimoli”.
Attualmente lavoro a tempo indeterminato come Web Designer, SEO, copy ecc ecc. Un po’ il tutto fare come dici tu.
Imparo tante cose ma non mi specializzo mai su una cosa sola.
Ho un buon stipendio e un posto fisso, cosa volere di più?
Stimoli.
Imparare dai migliori e mettersi in gioco nuovamente è quello che ci vuole per progredire professionalmente credo.
Per prepararmi alla trasferta sto facendo il redesign del mio sito (www.nicola-zanon.com/v1/) che fino ad ora non ho mai avuto tempo di fare.
Speriamo sia la volta buona che completi il lavoro. :)
Bel post!!