Le polemiche (semi-serie) del web design

Nell’ultimo anno sono stata poco presente: gli articoli che ho scritto si contano sulle dita di due mani.

Sapete com’è, le gioie (e le fatiche, soprattutto) della maternità.

Ho scritto poco, vero, ma ho letto tantissimo. Nella penombra della camera da letto, con mia figlia che mi dormiva accanto, ho fatto del mio iPhone una specie di mentore. Ho installato l’app per il Kindle e ho divorato eBook, ho letto articoli, ho curiosato per blog nazionali e non.

Il web design, il lavoro che amo visceralmente e che, prima dell’avvento di Noemi, mi vedeva correre davanti al computer alle quattro del mattino colta da un’ispirazione improvvisa, mi manca.

Perciò per un po’ ho messo da parte la pratica e mi sono data alla teoria. E mi sono presa del tempo per leggere anche qualche forum/gruppo del settore: spesso venivano segnalate letture e risorse interessanti, utili per riempire i tempi vuoti.

È proprio in questi gruppi che ho visto fomentare spesso una serie di polemiche infinite, sempre le stesse, come in un loop senza soluzione. Ci si lamenta, in modo cameratesco, e si polemizza su cose che ci indignano o che crediamo possano denigrare la nostra professione. È normale, ed è umano. Ma.

Ciò che tanto biasimiamo e additiamo con furore, è reale? O è una leggenda metropolitana, un luogo comune o qualcosa per cui bofonchiamo in modo quasi automatico, per sentito dire, come una causa comune a cui sottostare per partito preso?

Ho notato che chi si approccia adesso al web design di fronte a certi atteggiamenti (o critiche) si sente spaesato e confuso. Un novello web designer non può certo sapere che per alcuni un font (o un browser) è il diavolo, o che sembrano esserci quasi delle “leggi orali” che vengono tramandate e a cui sembra quasi obbligatorio dover sottostare.

Perciò, con lo spirito semiserio che contraddistingue i miei articoli, eccomi qua. A sdoganare qualcosa, e a confermare qualcos’altro. Mi raccomando se ho dimenticato qualcosa fammi sapere, cosi aggiorno la lista :) .

Polemica #1: se non hai il mac, non sei un vero web designer
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La lotta tra mac-addicted e i possessori di un pc standard sembra imperversare ovunque, in modalità più o meno drastiche. Si va dai più moderati, che si limitano ad un blando “con il mac è tutta un’altra storia” agli accaniti, che non perdono occasione per rispondere “cosi impari a non usare il mac” alle richieste di aiuto degli utenti che non lavorano con un prodotto Apple, per finire con gli estremisti, che si tatuerebbero la mela sulla caviglia e aprono appositi topic che nell’arco di pochi minuti degenerano in flame senza controllo.

Perché è vero
Lavorare con il Mac sarà senz’altro un’altra storia, non lo metto in dubbio. È ovvio che progettare un sito web o disegnare un layout con una macchina dalle potenzialità superiori è il sogno di ogni web designer… e lo dice una che cinque anni fa ha disegnato un tema per WordPress su un portatile di 15’’ e con 512mb di ram, con Photoshop che si impallava ad ogni salvataggio.

Perché non lo è
Dire che uno non è un designer se non lavora con il Mac è per forza di cose una generalizzazione senza fondamento; sarebbe come dire che, viceversa, basterebbe un Mac per fare di noi dei web designer professionisti. O che sia indispensabile lavorare con Adobe Photoshop perché con un software free non si può progettare un layout decente.

La verità è che se non hai le competenze professionali per fare ciò che fai, puoi utilizzare anche il computer della Nasa, ma il risultato non cambia. Viceversa, se sai come lavorare, importa relativamente il tipo di strumento che utilizzi, perché il segreto è nelle mani di chi lo impugna.

Qualcuno (ovviamente ogni riferimento a cose e/o persone reali è del tutto casuale) dovrebbe investire un po’ meno sulla propria postazione di lavoro (evitando quindi di spendere cifre altissime per un computer) e un po’ di più nella formazione professionale. Il web design in Italia sarebbe ad un altro livello se spendessimo in libri e corsi di formazione quanto spendiamo in smartphone, tablet e computer di lusso… se, cioè, la sostanza per una volta avesse la meglio sull’apparenza. ;)

Polemica #2: vietato lavorare per parenti e amici

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“Figliolo, la nostra pizzeria di famiglia avrebbe bisogno di un sito internet, che dici, te ne puoi occupare tu?”

Ma anche no. Punto primo, se lo vuoi LO PAGHI. Punto due, sei mio padre, con te non ci lavoro.”

Non è una conversazione inventata cosi, su due piedi. È quello che un web designer ha riportato in un forum, vantandosi di aver mandato a quel paese “il suo vecchio”, perché “io mica mi faccio sfruttare dalla razza peggiore.. mai lavorare per amici e parenti ragazzi, mi raccomando!”

A me sembra una reazione assurda. Isterica, perfino.

Perché è vero
Lavorare con le persone care a volte è un gran casino: ho lavorato per diverso tempo a tu per tu con mio padre e la sua compagna, e negli ultimi anni ho lavorato con Nando, gomito a gomito, alla stessa scrivania.Le tensioni sono inevitabili. La voglia di mandarsi a fa****o è tanta, e va frenata. Tutto dev’essere velato di cortesia anche quando stanchezza e nervosismo la fanno da padrone, perché ci si vuole bene. Perché tu sei mio padre. Perché tu sei il mio compagno.

Perché non lo è
Se tuo padre avesse un’officina meccanica e tu domani avessi un guasto al motore, andresti da un estraneo – sapendo benissimo che potrebbe spillarti soldi per un guasto inesistente o che potrebbe fare un lavoro di pessima qualità solo per finire prima – o porteresti l’auto nell’officina di tuo padre? E come ti sentiresti se ti accogliesse con un “ma anche no, se vuoi che ti sistemo la macchina mi paghi, anzi, già che ci sei vai da un’altra officina, io non ci voglio lavorare con i parenti”?

Un sito internet non è speciale. Il fatto che sia lavoro di concetto e non manuale, non fa di noi delle divinità intoccabili che non cedono la loro opera ai comuni mortali.

È sacrosanto che una persona a noi cara ci chieda aiuto, perché è cosi che funzionano i rapporti sociali, è cosi che l’uomo vive.

Per quanto mi riguarda ho realizzato siti, blog e logotipi a chiunque me l’abbia chiesto (ovviamente sempre nella cerchia degli affetti). L’ho fatto nel tempo libero, senza prendermi troppo sul serio, semplicemente.

Un favore. Niente di più, niente di meno.

Lavorare per parenti e amici non è lavorare. È rendersi utile e mettersi a disposizione di qualcuno a cui, nella pratica, dire di no – cosi, secco, senza possibilità di replica o di ripensamento – sarebbe sbagliato.
Con le giuste premesse, può essere anche un’esperienza arricchente, che avvicina le persone. Per me è stato gratificante sentire mio padre orgoglioso del mio lavoro e vederlo smanettare sul sito della sua associazione culturale, cosi come leggere le parole di gratitudine e affetto che la mia amica ha dedicato a me nel blog che le ho configurato.

Alcuni consigli spassionati:

– Sii chiaro sulle priorità e sulle tempistiche: dì che te ne occuperai nel tempo libero, perché hai clienti paganti che stanno aspettando e ovviamente non puoi metterli in secondo piano;

– Infischiatene: consiglia, ma senza imporre. E soprattutto, non prenderla sul personale se tua madre preferisce usare testi gialli su sfondo verde. Falla felice e conserva la tua professionalità e il buon gusto per dove sono richieste.

– Non chiedere soldi: cosi sarai libero di fermarti, tirarti indietro e temporeggiare nel caso ti facciano impazzire con pretese assurde. Con i pagamenti arrivano le pretese, e sarebbe troppo facile passare dalla parte del torto…senza contare che se si tratta di amici o parenti stretti potrebbe essere poco diplomatico presentarsi a battere cassa!

Polemica #3: il Comic Sans è il diavolo

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Quella contro il Comic Sans è una crociata che sembra non scemare mai. Con il tempo questo povero font è diventato il capro espiatorio per tutto ciò che è amatoriale e brutto nel settore del web design. Contro di lui esiste una vera e propria propaganda fatta di crociate e inquisizioni, più o meno serie. (basta vedere qui e qui)

In ogni aneddoto, dove il cliente di turno chiede modifiche impronunciabili, lui è li: “mi ha chiesto di utilizzare il Comic Sans per i testi!” la cui risposta inesorabile è, ovviamente, “rifiutati. Se insiste, uccidilo, piuttosto”

Perché è vero
Perché è il font più abusato nella storia della tipografia e perché nonostante la sua natura “cartoon” viene utilizzato praticamente in ogni dove, dalle sigle dei cartoni animati di Rai YoYo alle comunicazioni di servizio degli ospedali, dall’insegna della lavanderia sotto casa al blog della bimbaminchia di turno.

Perché non lo è
Sostanzialmente, perché in circolazione ci sono migliaia di font peggiori del Comic Sans (non ci credi? Dai un’occhiata qua e poi fammi sapere). Odiare il Comic Sans è talmente una tendenza che neanche ce ne chiediamo più il motivo. Né ci accorgeremmo se, nel frattempo, fosse nato un font peggiore, capace di spodestare il Comic Sans dal podio che faticosamente si è conquistato.

Polemica #4: ogni cliente ha un “nipote che fa il sito gratis”

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Secondo alcuni aneddoti che girano sul web, la maggior parte dei colloqui con i potenziali clienti finisce con un commento simile da parte del cliente: “Così tanto? Mio nipote smanetta con il computer e me lo fa gratis” o, in alternativa: “Come, così tanto? Ma dai, tanto che ci vuole, in cinque minuti lo fai

Ora, le cose sono due:

– O ho sempre avuto un grandissimo culo una fortuna sfacciata, e in 7 anni di web design da freelance mi sono capitate solo perle di clienti (perché anche laddove il preventivo non è stato accettato, nessuno ha mai commentato i miei prezzi in un modo simile);
– O forse situazioni simili non sono poi cosi comuni come sembra.

Che il nostro sia un lavoro poco valorizzato (l’eufemismo dell’anno) è assodato, ma sta a noi evitare argomentazioni del genere in fase di trattativa: un cliente capace di una reazione simile non solo non è assolutamente in grado di capire il valore del nostro lavoro (la differenza tra un sito web amatoriale e uno professionale, tra un buon logo e una clipart, e cosi via dicendo) ma, diciamocelo, è anche un po’ cafone. C’è modo e modo di argomentare i nostri prezzi, e questo è certamente il meno educato.

Se sei abbastanza sveglio nell’arco di poco tempo dovresti essere in grado di “fiutare” questo tipo di cliente già dai primi contatti (al primo incontro o al primo scambio di e-mail, poco cambia) e di evitarti inutili perdite di tempo. Ricordati che la prima volta che ti capita è colpa del cliente in questione, ma la seconda è colpa tua, perché non hai saputo o voluto filtrare la clientela a cui approcciarti.

Se decidi di lavorare in un porcile, non lamentarti poi degli inevitabili grugniti :)

Polemica #5: that’s Italy

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I 180 commenti al mio articolo “Lo scandalo del design made in Italy – pessima qualità e costi assurdi” dimostrano quanto certe problematiche stiano a cuore dei web designer /designer italiani. Visto che nel nostro paese non ci smentiamo mai, dalla pubblicazione dell’articolo citato ad oggi le occasioni per scandalizzarsi nuovamente non sono di certo mancate.

Basti pensare ai – tieniti forte – venticinque milioni di euro per il sito web e lo sviluppo dei software per l’Inail e ai quasi quattro milioni di euro per il nuovo sito della Camera per farsi prendere dai nervi.

La ciliegina sulla torta? Il bando emesso dal Comune di Napoli per la promozione dell’evento “Vomero Notte 2013”. Vuoi farti due risate?

Il designer che voglia occuparsi della promozione dell’evento dovrà produrre una autocertificazione, corredata dal documento del legale rappresentante, che contenga la denominazione e sede della ditta/impresa/società, il nominativo del legale rappresentante, gli estremi della iscrizione alla CCIAA e/o dell’atto costitutivo, la regolarità degli obblighi contributivi e previdenziali e del versamento dei tributi, l’insussistenza delle condizioni ostative (condanne e/o interdittive antimafia) ad interloquire, ancorchè senza corrispettivo, con la Pubblica Amministrazione. Dovrà anche essere prodotta una relazione sull’attività svolta nell’ultimo triennio.

Manca solo un campione di DNA, giusto?

Il fortunello che vincerà il bando non solo dovrà lavorare GRATIS per promuovere l’evento e progettarne il concept grafico, ma dovrà pure “allestire a proprie spese un numero minimo di”:

  1. n. 5 striscioni microforati bifacciali di dimensioni m.6 x m.1;
  2. n. 20 manifesti di dimensioni m.6x m.3;
  3. n. 100 manifesti di dimensioni m.1x m.1,40;
  4. n. 1000 locandine, formato A3;
  5. n. 100 vetrofanie adesive, formato A4;
  6. n. 50.000 programmi brochures della manifestazione,
  7. n. 10.000 flyers pubblicitari.

Ovviamente i designers di tutta italia si sono dichiarati scandalizzati e hanno fatto fronte comune: assolutamente no. Sull’argomento ti consiglio di leggere l’articolo di Roba da Grafici perché merita.

Polemica #6: lo SPEC work

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Lo Spec work, in sintesi, è lavorare gratis con la speranza di essere pagati a lavoro ultimato. Il cliente vede ciò che è stato realizzato e, a seconda di come gli gira, può decidere di pagarti o meno per il tempo e il lavoro che hai investito nel progetto.

Un esempio di spec work, oltre a quello sopra citato dei bandi statali, è quello promosso dai tanti siti come 12designer o 99design: il cliente inserisce un brief del progetto e stabilisce un budget, 100 designer partecipano pubblicando le loro proposte. Alla scadenza del contest il cliente premierà la proposta che ritiene più adatta e 99 designer avranno lavorato inutilmente.

Perché è vero
Le critiche a questo tipo di servizio sono concrete e numerose: può partecipare chiunque, anche lo smanettone di tredici anni; il cliente sceglie il design che più gli piace basandosi solo su un criterio prettamente estetico, non c’è una figura competente che lo consigli e capace di fargli capire la differenza tra un progetto professionale e uno amatoriale; il budget messo a disposizione dal cliente è generalmente insufficiente; per un designer che viene selezionato ce ne sono tantissimi che hanno investito tempo e risorse senza il minimo ritorno economico; servizi del genere svalutano la figura dei designer e distruggono il mercato. E molto altro ancora.

Perché non lo è
Partendo dal presupposto che a servizi simili partecipino solo i designer alle prime armi (non credo che designer affermati che generalmente lavorano su progetti di logo design per 3000-5000 euro accetterebbero di partecipare a dei contest), non credo che i 99 designer non selezionati abbiano lavorato “inutilmente”. Credo invece che abbiano fatto un po’ di sana gavetta, che male non fa.

Per chi inizia a muovere i primi passi nel design partecipare a questi concorsi può essere un modo per mettersi in discussione e ricevere dei feedback sul proprio modo di lavorare. Tutta esperienza che entra, alla fine.

Al mercato dei designer “senior”, invece, lo spec-work fa un baffo: un progetto di personal branding o di web design SERIO è troppo complesso per essere contenuto all’interno di un contest, richiede più figure professionali, tempistiche diverse e un budget ovviamente superiore. Chi collabora con web agency o agenzie di comunicazione già affermate lo sa: i clienti “veri” richiedono un servizio personalizzato e desiderano essere seguiti dall’inizio alla fine, a costo di investire un po’ di più nel progetto.

Polemica #7: la concorrenza sleale

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Dopo i siti web delle pagine gialle è stato un fiorire di servizi – pubblicizzati anche in TV – che, su piattaforme particolari, permettono all’utente di progettare un sito web in una manciata di minuti e in modo completamente gratuito.

È normale sentirsi derubati del proprio lavoro, con una concorrenza tanto sleale.

Ma..

Qualche tempo fa Nando scrisse un ottimo articolo, per dimostrare che servizi come lamiaimpresaonline non sono mine vaganti per la nostra professionalità.

Cito testualmente:

Se lamiaimpresaonline riuscisse nella sua “impresa” – cioè portare online quante più aziende possibili tra quelle che ancora non hanno un sito web – quanti di questi dopo un po’ di tempo comprenderebbero che quel servizio non fa per loro? E quanti si rivolgerebbero ad un professionista capace di assicurare loro un lavoro serio e competente?

Ecco: questi sono tutti potenziali clienti che senza iniziative come quella citata non avremmo mai raggiunto (o che forse avremmo raggiunto fra diversi anni) in quanto inconsapevoli dell’”universo” internet.

Vista da questa prospettiva, la situazione appare diversa: sembra quasi che si debba ringraziare questi servizi, capaci di avvicinare potenziali clienti al web design come noi non potremmo mai fare (la pubblicità in televisione, maledetti loro!)

Conclusioni

A questo punto non resta che lamentarci di meno e prendere le cose con la dovuta filosofia. Le inevitabili difficoltà del nostro lavoro non devono in alcun modo scalfire la grande passione che senz’altro proviamo mentre stiamo progettando un’interfaccia o mentre facciamo le ore piccole su righe e righe di codice.

Se ho dimenticato qualcosa (senz’altro) suggerisci pure, farò in modo di tenere la lista sempre aggiornata ;)

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L'autore

Web designer, lavora nel campo della grafica e dello sviluppo web da sei anni e al momento oltre a collaborare con una web agency gestisce con successo la sua attività di freelance sotto il nome di mascara design. Come molti freelance si è abituata a gestire più ruoli, spaziando dalla grafica cartacea allo sviluppo del codice xhtml e css; nonostante questo la sua passione rimane, sempre e comunque, la grafica per il web.

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