The first time

La mia prima volta l’ho avuta a 24 anni.
Conobbi Lui grazie a mio fratello. All’inizio mi interessava meno della vita sessuale delle cernie, ma più lo incontravo e più sentivo che qualcosa ci avrebbe legati, forse una morte violenta o un virus pandemico, non lo sapevo, sapevo solo che con Lui avrei avuto un’esperienza assolutamente nuova.
Un giorno me ne stavo appollaiata sul pc quando mio fratello mi disse: “Ti vuole parlare, penso proprio che tu gli sia piaciuta”, allora l’idea di rivederlo cominciò a solleticarmi le ascelle.

Lui sfiorava il metro e settanta meno dieci centimetri e due banane, aveva una capigliatura a zolle, pancetta d’annata con la scritta “made in Tavernello” sul retro, gli occhietti piccoli e marroncini tipo l’uvetta del panettone…sì, be’, non era bellissimo, era un tipo…alla luce di un fiammifero poteva anche passare per il sosia di Johnny Depp dopo una cura a base di padellate, volendo. In ogni caso non mi importava, anche perché possedeva tanti soldi!
Lo so: il denaro non conta, ma ammettiamolo!, i soldi in certi tipi di rapporti sono quasi tutto! Non è simpatico da dire, me ne rendo conto, tuttavia sapere che Lui ne avesse così tanti mi rassicurava.

È sbagliato forse? Io dico di no, si sa come vanno a finire queste cose. Parlate, fate progetti, cominciate a costruire qualcosa insieme, impegnate tempo, fatica, notti insonni e poi? Poi va tutto in vacca perché LUI non ha i soldi. Non è mica bello.

Comunque non era un nostro problema.
Dissi a mio fratello di dargli il mio numero, così due giorni dopo mi chiamò per invitarmi ad andarlo a trovare nell’albergo dove lavorava. Ero emozionatissima, nonostante avessi già una certa età, quella sarebbe stata davvero la mia prima volta! Mi vestii elegante ma sobria, per non sembrare interessata e ansiosa, capite? Doveva vedermi come una che poteva essere lì o alla Casa Bianca a cogliere pomodori con Michelle Obama, indifferentemente.
Parlammo a lungo. Del mio lavoro, del suo, dell’albergo in cui ci trovavamo, di quello che avrebbe voluto lui, di ciò che amava e che assolutamente odiava. Lo ascoltavo attenta, pronta a cogliere ogni colpo d’ombra, ogni virgola, ogni verbo sbilenco per capire chi avessi di fronte, come prenderlo, come farlo felice, come soddisfarlo. Andavo forse troppo a largo con la fantasia, ma avevo bisogno di sapere tutto lo scibile su di lui.

Ad un certo punto, quando ormai sembrava non ci fosse più niente da dire:

“Andiamo nella suite.”
C…cosa?
La mia gola fece una piroette.
Aggiunse: “Certe cose si fanno in privato…” e lanciò un’occhiata a due clienti e al suo collega impiccione.

Acconsentii, in fondo anche io lo volevo. Ero lì per quello, no?
Stavamo per concludere, lo sentivo! Oh, come ero felice, ma allo stesso tempo mi tremavano le tibie.
Ammollò la reception all’impiccione e salimmo verso la suite. L’ascensore era in manutenzione, così prendemmo le scale: alla faccia del mio cuore che cercava di dissociarsi dal mio petto. Ogni gradino era un passo verso la mia prima volta o verso l’arresto cardiaco… o prima l’uno e poi l’altro.
Lui intanto cercava di tagliare la tensione del momento mostrandomi i particolari più interessanti della struttura, io annuivo interessata e ogni tanto formulavo domande per non farmi beccare troppo protesa verso il prossimo futuro, anche se era lì, a pochi passi da noi.
La mia prima volta, la mia primissima volta!

Appena fuori la stanza, i miei polmoni iniziarono a pogare di brutto con il resto degli organi, non sudavo, ma sentivo i pori fischiare. Aprì una porta finemente anonima, e la suite si allargò di fronte i miei occhi sontuosa…come la cuccia di un mastino napoletano, ma accogliente…per un mastino napoletano. Era una suite privata di tutti gli oggetti e gli arredi da suite…una camera con il cesso più largo, praticamente. Ma chi se ne fregava, a me interessava Lui e quello che stava per accadere!
Mi fece fare un tour panoramico…gira la testa a sinistra, poi a destra. Fine del tour.

“Che te ne pare?”, mi disse.
“Bella mer…ehm, è molto…accogliente…”
“Qui dovremmo farlo per forza!” disse lui convinto come un toro che sta per obliterare il torero.
“Sì, direi proprio di sì…”
“Concludiamo?”
“Subito, così?”
“Certo, tu mi piaci, quindi sì, facciamolo!”

E poi silenzio.

Mandai giù un’intera cisterna di saliva, ma dovevo prendere l’iniziativa per fugare ogni dubbio, per sviare un eventuale sospetto sulla mia inesperienza in merito, così allungai la mano, lo guardai dritto dritto negli occhi e…

“Affare fatto! Il preventivo sarà pronto per la prossima settimana e se il prezzo ti va bene, firmiamo il contratto e realizziamo il servizio fotografico in questa stanza il giorno stesso. Come la vedi?”
“È perfetto, oh, ‘sto sito me lo devi fa’ carino, eh! Ché quelli dell’altra agenzia m’hanno fatto paga’ un capitale e lo hanno lasciato a metà.”
“Stai tranquillo, ho tutte le informazioni che mi servono. E poi lavoreremo insieme, quindi verrà come tu lo vuoi!”

Vendita: riuscita.
Ci chiudemmo alle spalle la suite per mastini napoletani. Mentre tornavamo alla reception – e i miei organi si riconfiguravano nel modo giusto -, Lui si congratulò con me per la professionalità con cui avevo svolto il processo di vendita. Non ebbi il coraggio e la stupidità di congratularmi a mia volta per essere stato il primo, il fess…ehm, il cliente number one, l’inizializzatore. Probabilmente lo sapeva, ma entrambi facemmo finta di niente.

La mia prima vendita andò più o meno così. E la vostra?

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L'autore

"Quella che fa i siti" per i clienti, Smanettona per se stessa e Web Designer per chi la sopravvaluta, Francesca o "Pikadilly" ha cominciato a lavorare in rete quando si è resa conto che le scorte di cibo erano drasticamente finite. Adesso sopravvive nella giungla del web bloggando improponibili esperienze legate al difficile rapporto con la clientela e cercando di convincere il mondo che l'essere smanettoni è una cosa serissima.

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