Abbiamo diritto a pretendere un lavoro?

Il titolo può suonare come una provocazione in un periodo di crisi occupazionale, ma mi sono posto alcune domande circa il mondo del lavoro, delle università e delle esigenze che dovrebbero far incontrare in modo proficuo aziende e risorse. L’argomento che sto per trattare non ha nulla a che fare con la questione della scarsa qualità dei contratti offerti dalle aziende, dallo stato di precarietà che molti giovani (e oramai anche meno giovani) si trovano ad affrontare, con ovvie e immancabili ripercussioni sulla vita privata e sociale (impossibilità di accendere un mutuo o un prestito, difficoltà a mettere su famiglia, tranquillità personale).

Sono un fermo sostenitore di politiche che possano sbloccare questo stato di cose, perché ne gioverebbe la produttività e la creatività di tutta la nazione. Voglio però porre l’attenzione su altri temi importanti come l’orientamento formativo, la qualità delle nostre scelte in ambito universitario e la scarsa velocità di adeguamento nei nostri atenei.

Cosa succede?

Credo che ognuno di noi, almeno una volta, abbia sentito un neo laureato o un parente lamentarsi della mancanza di lavoro, oppure della scarsa attinenza del ruolo professionale ricoperto, rispetto alla laurea conseguita. Continuano a proliferare le proteste di chi vuole giustamente un “posto” nella società, un impiego degno del suo percorso scolastico; ci sono ottime menti che con una laurea in tasca si trovano a fare i commessi o i cassieri al super mercato (con tutto il rispetto per queste professioni).  La domanda che mi faccio è: di chi è la colpa?

Sicuramente l’esempio che tutti abbiamo lavorando nell’ambito media e web ci aiuterà ad affrontare questa domanda in modo più obiettivo possibile, ma la mia risposta è che la colpa non è delle aziende o delle istituzioni o comunque non solo.

I responsabili

Attualmente avere una laurea è come qualche anno fa avere un diploma: è indispensabile per inviare la propria candidatura a circa il 70% delle aziende o partecipare a concorsi pubblici.

Quindi un primo approccio al problema lavoro potrebbe essere: prendo una laurea (qualunque sia) per avere il classico “pezzo di carta” ed essere abilitato ad accedere ai concorsi, sperando prima o poi di vincerne qualcuno, almeno uno.

L’altro discorso sacrosanto è quello di inseguire i propri sogni e le proprie ambizioni, coltivando gli interessi e le attitudini che crediamo siano quelle che più ci caratterizzano. Voler fare l’astronauta è un obiettivo, nessuno può impedire una scelta simile e i percorsi formativi sono percorribili in modo trasparente.

Presi per buoni questi due concetti fondamentali che un ragazzo a 18 anni deve considerare, penso che molte volte la colpa della mancanza di lavoro sia nostra! E comunque divisibile con le realtà formative. Le università hanno una colpa già prima dell’inizio del percorso di studi, che andrei a ricercare nell’orientamento formativo. Un ragazzo di 18 anni dovrebbe essere ben informato sia sulle possibilità di studio che il paese Italia offre (e magari anche sulle possibilità all’estero), ma dovrebbe soprattutto avere una visione globale del mercato del lavoro con una previsione di almeno 2 anni. E’ impossibile dare garanzie sulle tendenze professionali in un arco medio lungo come può essere il percorso di studi universitario (3-8 anni), ma far capire ad un giovane studente le nuove professioni, come la tecnologia e le abitudini cambiano il mondo del lavoro e le aziende è un’informazione fondamentale per una migliore scelta formativa.

Inoltre anche i giovani devono contribuire ad auto formarsi; con strumenti come il web e i social network è impensabile che un neo diplomato non possa accedere a informazioni cosi semplici; semmai è compito dei genitori e delle scuole far capire l’importanza di andare a fondo su questi argomenti, anche in modo autonomo.

Le colpe dei singoli

Individuati due responsabili inaspettati, abbiamo visto come ci sia un “peccato” originale compiuto dagli studenti e dalle università nella mancanza di orientamento formativo e sul mercato del lavoro.

Quello su cui vorrei spingere però è: “Possiamo attribuire una colpa alle istituzioni o alle aziende se un laureato con 110/llode in antropologia non trova lavoro?”. “Un genitore può arrovellarsi sui sacrifici fatti per far studiare il proprio ragazzo, magari fuori regione e che si laureato brillantemente in Storia/Matematica/Astrofisica?” Vorrei riflettere su questo tipo di affermazione.

Come detto prima sono fautore di scelte che premiano la passione, che inseguono il sogno di una vita e per questo ovviamente c’è un prezzo da pagare, bisogna mettere in conto l’insuccesso del proprio sogno. Ma questo ci sta ed è condivisibile.

Non credo però sia condivisibile la scelta di andare all’università senza un’idea chiara (anche al 50%) di quello che si stà facendo. Nell’incertezza non si può scegliere una facoltà che ci sembra attinente alle nostre predisposizioni: non basta aver avuto 9 in matematica alle superiori per pensare di scegliere la facoltà di Matematica anche in ambito universitario.
Sento molti che si laureano in giurisprudenza, pensando che la strada sia semplice. Quanti di loro sono senza lavoro, oppure sono in apprendistato e in condizioni contrattuali da schiavi? Ma possiamo dare la colpa solo alle aziende o allo studio? NO! Così è troppo facile.

Io non ho dato mai per scontato nulla nella vita: avere un ottimo voto di laurea non è garanzia di un posto di lavoro! A me sembra che il concetto sia chiaro e lo sappiano tutti, quando però si verifica non crediamo sia giusto.

Pensare di laurearsi in “Scienze della comunicazione” (io sono iscrittto a quest facoltà) per poter lavorare in ambito new-media, web o IT è la cosa più sbagliata che si possa fare. Quanti laureati in questa facoltà conoscete? Quanti di questi lavorano? E di chi lavora, quanti lo fanno solo con le conoscenze acquisite in ateneo?

Molti di noi che leggiamo su YIW saremo laureati, ma tutti sicuramente facciamo questa professione grazie al nostro impegno, all’auto-formazione ad esperienze sul campo.

Le colpe del sistema universitario

Collegato all’ultima frase, c’è il concetto dell’estrema lentezza con cui si aggiornano i percorsi formativi delle nostre università. Alla domanda di un giovane amico: “Vorrei fare il lavoro come il tuo (web designer), a che facoltà mi iscrivo?”. La mia risposta è stata: “Se vuoi una laurea scegli tra ingegneria informatica o scienze della comunicazione, se vuoi lavorare allora compra manuali, programmi e cerca sul web”. Voi che cosa avreste risposto?

Qualche mese fa si leggeva che molte delle nuove professioni, non esistono ancora, allora come si fa ad avere i programmi universitari che vengono proposti agli studenti nel 2011?

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L'autore

Alessandro è un professionista del web da oltre 8 anni e vive e lavora a Roma. Ha diverse conoscenze nell’ambito del web design e dello sviluppo web. Spazia dalla creatività pura allo sviluppo di template e graphic design conforme agli standard W3C.

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