L’Adsensei: all for a click

Segui il link perché è la notizia del momento e sudi per conoscerne i prelibati particolari, ti prude sapere di quanti centimetri Britney Spears sborda dal costume o  i contenuti dell’ultima barzelletta del presidente per poterla ripetere in chiesa, al funerale di un tuo parente che non conoscevi  ma che sicuramente apprezzerà l’ironia, o semplicemente segui il link perché c’hai cliccato sopra per sbaglio, capita.

Approdi in un blog dopo un comodo caricamento di tre quarti d’ora: se non ti girano fino a spiccare  il volo vuol dire che non lavori in rete o che sei come me, pignolo e sfidaiolo, quindi prendi l’apertura della pagina sul personale. Capita anche questo. (E non è bello, te lo assicuro.)

News, where are you?

Sei finalmente nel blog, della notizia che ti ha sedotto vedi solo un enorme chiavizzato ipertitolo, ma dell’articolo nemmeno l’ectoplasma.

La domanda a questo punto è: “Dove devo leggere?”

Guardi giù, guardi su, guardi dietro al sito, sotto il tavolo, bussi ai vicini, chiami Chi lo ha visto?, ma niente, articolo non pervenuto. Davanti i tuoi occhi c’è solo un enorme cimitero di annunci pubblicitari e banner costeggiati da file alberate di link. Poi osservi meglio e lo trovi, o peggio, scorgi tre righine timide e anemiche accovacciate in tra un blocco Adsense e l’altro.

Te lo dico delicatamente: sei sbarcato sul blog di un Adsensei.

Anatomia di un Adsensei

Lo avevo accennato la volta scorsa, quello dell’adsenseismo è una branca del primochiavismo incentrata soprattutto sul guadagnare tanto con il minimo impiego di sinapsi e parole.
All’Adsensei non basta essere universalmente primo, con quel primato vuole diventare ricco. Tanto ricco. Subito ricco. Passivamente ricco.

L’Adsensei è una sorta di agricoltore, pianta gli annunci nelle zone più fertili del blog e aspetta monasticamente che qualcuno venga ad annaffiare di click i semini piantati. Alle volte le zone coltivabili equivalgono al 90% dell’intera pagina. Il restante 10% se lo dividono il titolo del blog, il titolo dell’articolo, i tasti di condivisione social e feed, il footer e uno spazio aria che è un pixel inutilizzato, così, per non soffocare il potenziale cliccatore.

Seduto alla scrivania come un Buddha, l’Adsensei si limita a far accoppiare qualche parola per non urtare la sensibilità di Google, che ci tiene a trovare un po’ di ripieno per sfornare i suoi annunci; fa grandemente uso di grassetti e poco uso del dizionario, ma non importa, perché il suo target non  ha il compito di leggere l’articolo cercato, bensì di non trovarlo e quindi di cliccare sul primo link contenente le stesse keywords che lo hanno portato al blog dell’Adsensei.

Superficialmente, l’Adsensei, potrebbe sembrare allergico alla qualità, ma approfondendo lo studio di questa specie, si scopre che la sua è una precisa e chirurgica strategia: poca carne nell’articolo significa tanti click sugli ads imboscati tra una riga vacua e l’altra.

Il link travestiti sono la sua portata principale. Nel blog di un Adsensei nessuna URL è innocente o spontanea e tantomeno lanciata nel sito dove casca casca, un “Continua a leggere” non è mai quel che sembra, spesso è un portatore sano di pagina spam o popup che esplode all’improvviso come un infarto. Prima di riuscire a chiudere queste pagine, le terre emerse hanno tempo di tornare ad unificarsi. Non mi sorprenderebbe sapere che i dinosauri si sono estinti mentre cercavano il tasto X di un popup.

Il target

Il marketing dell’Adsensei è basato sul novello crocerista virtuale, quello dalla cliccata brada e selvaggia, l’archetipo dell’utente che non sapendo dove cliccare, scliccazza tutto per essere certo di arrivare da qualche parte, prima o poi.

Il novizio si ritrova così lo schermo conquistato dalle curve ucraine di Sophonisba che lo invita a seguirla nella sua stanza o da Napoleone il Leone che se ne va in giro con il chiodo e le natiche al vento a vendere lavatrici con un pannello comandi che manco l’Enterprise.
Per ripescare il povero virgineo utente annegato sotto uno tsunami di pagine pubblicitarie bisogna chiamare la Polmare e sperare di non trovarlo con le mutande in testa mentre tenta di palpare  Sophonisba con il mouse.

Se si è inesperti, quindi, navigare il sito di un Adsensei è come farsi un giro in pedalò con il mare forza nove, probabilmente si riesce a tornare a riva, il come è meglio non saperlo.

C’erano una volta…

Per gli esperti, invece, il pericolo è l’imitazione. Ho perso molti amici e colleghi così, accecati dal guadagno passivo, persone che un tempo credevano nella forza della qualità e negli energetici contenuti generatori di differenti utili: la fedeltà a lungo raggio dei lettori, ad esempio.
Piango ancora sui loro blog, ogni tanto lascio un fiore o un lumino in ricordo dei vecchi tempi, quando i blog venivano messi al mondo accompagnati soprattutto dal bisogno di condividere qualcosa di qualità, e i guadagni, be’, quelli venivano dopo, forse, o non venivano affatto, ma andava bene così, perché era incredibilmente soddisfacente dividere le proprie conoscenze con gli altri e veder crescere il numero dei followers.

E ci sono ancora…

Non sono affatto spariti i blog impregnati di passione e qualitativamente eccelsi, forse è per questo che nonostante la forte ondata di siti pro Ads, sento ancora la potenza della parola condivisione uscire dallo schermo e muovere tante persone verso la rete, tutto ciò grazie a quei web lavoratori che  riescono ad equilibrare il bisogno di guadagnare con la voglia di esportare idee e conoscenza, fanno coestistere pubblicità e contenuti validi, ma soprattutto dimostrano che  il web è ancora territorio nel quale vince chi ha qualcosa da dare e non solo da prendere: non è un megastore virtuale dove il verbo vendere soffoca il verbo condividere, anche se l’Adsensei si sta applicando con cura e carta vetrata per cancellare quest’ultimo dal dizionario.

Alla fine direi di lasciarlo procedere, se non altro è un modo per farglielo aprire, il dizionario.

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L'autore

"Quella che fa i siti" per i clienti, Smanettona per se stessa e Web Designer per chi la sopravvaluta, Francesca o "Pikadilly" ha cominciato a lavorare in rete quando si è resa conto che le scorte di cibo erano drasticamente finite. Adesso sopravvive nella giungla del web bloggando improponibili esperienze legate al difficile rapporto con la clientela e cercando di convincere il mondo che l'essere smanettoni è una cosa serissima.

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