L’alter Ego del Cliente (1/2)

Non sempre viene preso nella giusta considerazione. All’inizio si fa fatica anche a notarlo. È silenzioso come l’aria, immobile e anonimo come un ramo di corniolo. Ma è un soggetto fondamentale per la buona riuscita del rapporto con il cliente.

Sto parlando del collaboratore, il braccio destro del capo, colui che riesce a incidere incredibilmente sulla qualità delle relazioni, trasformando il progetto (e la nostra vita) in un vero e proprio inferno o in un’esperienza magnifica, a seconda delle sue inferenze logiche e caratteriali.

Se capita, se ci viene assegnato un interlocutore interno al quale solo possiamo rivolgerci, in alternativa al titolare, per acquisire informazioni, testi, immagini, feedback etc., dobbiamo sperare che la fortuna non ci volti le spalle, perché l’opinione di costui (o costei), pronunciata anche lontanamente con l’intenzione di remarci un pochino contro (per tante ragioni che vedremo prevalentemente nella seconda parte di questo articolo), potrebbe annientare il nostro lavoro e procurarci grandi perdite di tempo e di danaro.

Allora, bisogna essere preparati a trattare anche con l’alter ego del titolare. E quest’articolo (diviso in due parti) vuole proprio esplorare – per quanto possibile – il campo dei rapporti umani e tecnici che nascono con quelle persone di fiducia che ci vengono presentate dal cliente come nostri punti di riferimento all’interno dell’azienda.

Non è un lavoro facile, soprattutto perché dobbiamo stare attenti a non generalizzare. I collaboratori non sono figuri loschi o meschini per antonomasia. Sono persone normali che già erano presenti nella vita del titolare prima del nostro arrivo, e probabilmente ci saranno anche dopo.

E come tutte le persone, hanno un carico immenso di sentimenti, di esperienze, di ambizioni e punti di vista che non possono essere semplicemente ignorati o calpestati nel mortaio dell’indifferenza o della superiorità tecnica del rapporto col cliente.

Se ha un ruolo nella vicenda (es. è colui che dovrà caricare le schede dei prodotti) e, soprattutto, se ha un’opinione su come devono essere impostate le cose, il suo punto di vista – che lo si voglia considerare o meno – sarà in grado di far cambiare idea al cliente in merito a questioni già discusse e approvate, facendo regredire il progetto o trasformandolo in un coacervo ostile di personalizzazioni selvagge. Meglio dargli il giusto peso nella fase progettuale e averlo come alleato, piuttosto che meravigliarsi di come il cliente possa cambiare idea facilmente e cominciare a vivere il rapporto con una maggiore tensione.

Dunque, cerchiamo di capire chi è l’alter ego, ovvero, che tipo di rapporto esiste tra lui e il nostro cliente, e in che modo riesce a entrare nella nostra vita e a condizionarla in meglio o in peggio a seconda della posizione che assume nei nostri confronti.

Tipologie di alter ego

Funziona così: il cliente ci presenta un persona e ci dice che è importante per lui, perché lo aiuterà, insieme a noi, a realizzare il progetto web dei suoi sogni. Chi è questa persona?

In base alla mia esperienza (ma anche in base a quello che mi raccontano i colleghi), l’alter ego è quasi sempre una delle seguenti figure:

  • Il figlio o la figlia del titolare (anche il nipote, mi è capitato).
  • Il collaboratore d’azienda, scelto tra le persone più vicine al capo o tra quelle che mostrano maggiori competenze web rispetto agli altri.
  • Il socio occulto, colui (o colei) del quale avevi solo sentito parlare mezza volta (forse) durante la trattativa, e che poi scopri essere il vero decision maker del progetto.

È evidente che in base alla tipologia di alter ego cambiano le strategie di approccio e di interazione. Per questo, è importante tentare, almeno, di tracciare un loro profilo psicografico, prima di ragionare su come trattarli o su come far nascere con loro un rapporto di alleanza.

Il figlio del titolare

È la figura più problematica. O, se vogliamo, quella in cui la buona sorte gioca davvero un ruolo decisivo. È il caso di dire: che dio ce la mandi buona. O, meglio, che dio ce lo mandi buono, ma anche intelligente, collaborativo e aperto.

Quando si parla di web, il figlio è quello che ne capisce. Chi altri, se no!? È giovane (rispetto al padre, s’intende), usa i telefonini touch screen e sa configurare il televisore moderno a schermo piatto.

Nell’immaginario della famiglia, se non ci sono ragioni specifiche per tenerlo in scarsa considerazione, rappresenta l’autorità indiscussa delle diavolerie moderne e tecnologiche.

Potrebbe essere vero. Cioè, magari il figlio è veramente un esperto di tecnologia. Ma questo, per una specie di effetto alone, fa si che lui diventi – nella percezione del padre – anche un esperto di internet business, di marketing, di e-commerce, di usabilità etc..

Non dimentichiamo poi il legame di sangue. Il figlio è sempre il figlio. Prova a metterti contro di lui e vedrai cosa succede.

Il collaboratore d’azienda

Meno problematico del figlio, sul piano dell’intensità dei rapporti, ma non per questo meno pericoloso. Anche perché il collaboratore, tra gli alter ego del titolare, è l’unico che mostra un’infinità di sfaccettature.

Dall’assistente di fiducia, che abitualmente semplifica la vita del boss, facendosi carico delle cose più noiose e ripetitive, alla segretaria che gestisce appuntamenti, rubriche, contatti, fino a occuparsi di questioni anche personali o intime, il collaboratore che ci viene assegnato come punto di riferimento è parte della grande scelta che ci riguarda.

Con ogni probabilità è stato chiamato ad esprimere la sua opinione sulla nostra offerta. Ha letto il preventivo, ha navigato il nostro sito e ha ragionato insieme al capo sull’opportunità di affidarci o meno l’incarico di un progetto web.

Potrebbe essere stata la sua opinione a farci acquisire il cliente. E se è stata chiesta la sua opinione, potrebbe essere quello più competente in azienda per seguire il progetto e interagire con noi direttamente.

Psicologicamente, se il capo ti coinvolge per affiancarlo o sostituirlo nella creazione del sito aziendale, scattano due meccanismi, uno di responsabilità del ruolo, l’altro di orgoglio e prerogativa. Se lo ha chiesto a me, ci sarà un motivo!

Come si può scavalcarlo senza aspettarsi delle conseguenze?

Il socio occulto

Nella fase della trattativa, il potenziale cliente spiega la sua idea, le sue ambizioni, il suo punto di vista sul mondo, e sciorina una valanga di informazioni inanellate più o meno attinenti con il progetto visto dalla sua prospettiva. Per esempio, l’incontro con un guru del golf, un viaggio a Città del Messico, la collega della moglie che vende prodotti esotici e l’amico esperto di cloud computing.

Sono informazioni lampo che cadono durante la conversazione e non hanno a primo acchito una grande rilevanza rispetto a ciò che dobbiamo ascoltare con maggiore attenzione.

Questo fa si che quando il potenziale cliente diventa cliente e ci presenta il socio occulto esperto di cloud computing, a cui dobbiamo relazionarci per la definizione progettuale del sito, non possiamo dire di non essere stati informati, perché in qualche modo aveva parlato anche di lui durante il primo incontro. Solo che l’informazione era stata travolta da una congerie di altre piccole informazioni a cui non avevamo dato importanza.

Il socio occulto, come gli altri alter ego, esiste da prima di noi nella vita del cliente. E con ogni probabilità ha contribuito a sceglierci. Ma a differenza del collaboratore, che non ha il potere di iniziativa, il socio preferisce non esercitarlo, lasciando che sia l’amico (il nostro cliente) a contattarci e a fare – diciamo così – il lavoro sporco dell’ingaggio.

Lui mantiene questa posizione di distacco emotivo dalla scelta, quasi fosse una quisquilia, una cosa di poco conto. E si rapporta a noi con un atteggiamento formalmente corretto, ma proteso a comunicare tra le righe la sua superiorità di pensiero. Vuole farci sapere che è un osso duro, che ha un suo stile, diverso dall’amico più facilone, e che dobbiamo allinearci presto alla sua visione della cosa.

Come la mettiamo con il socio occulto?

Conclusioni della prima parte

Quando entriamo nella vita di un cliente per fare un sito, per quanto assurdo possa sembrare, non dobbiamo dare conto solo a lui che ci paga. Ci sono molte persone che si muovono direttamente o indirettamente nella sfera delle decisioni. Persone che possono aiutarci e renderci la cosa più facile o, al contrario, metterci il bastone tra e ruote e renderci la vita un inferno.

Molte dinamiche avvengono fuori dal nostro controllo. E, come vedremo nella seconda parte, hanno a che fare con equilibri delicati e giochi di potere che preesistono al sito web e lo sovrastano.

Ma non tutto è fuori dal nostro controllo. Ci sono dinamiche che possiamo controllare, mostrandoci più accorti alle relazioni che si innestano durante il progetto. È una questione di sensibilità al ruolo delle persone.

Che ci venga chiesto di farlo oppure no, saper trattare con l’alter ego del capo è un vantaggio competitivo di non poco conto. Fa bene alla nostra azienda, alle nostre casse e alla nostra salute.

Nella seconda parte vedremo come trattare con lui e come far nascere un’alleanza strategica, quando ci sono i presupposti per farlo. Nel frattempo, sentiamo: a chi di voi è capitato di avere a che fare con l’alter ego? Che tipo di esperienza avete vissuto?

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L'autore

Scrittore freelance ed esperto di content marketing. La sua filosofia è che tutti, grazie al web, possono lavorare in modo più intelligente e proficuo. E soprattutto in modo più autentico. Basta sapere come fare. Da febbraio 2013 ha deciso di accettare una nuova sfida e di entrare nel team di Your Inspiration per curare l’organizzazione e la produzione di contenuti, nonché il copy e la comunicazione aziendale.

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    [...] non hai ancora letto la prima parte, ti consiglio di farlo per comprendere ancora meglio il senso del ragionamento…