Uebbdesainer: ladri o fannulloni?

Qualche settimana addietro una delle risposte al mio articolo “Servizi che svalutano il web design: perché non temerli?” prendeva in considerazione un argomento di cui sovente sento discutere: amici, parenti e conoscenti spesso e volentieri sminuiscono questo lavoro considerandolo non una vera e propria attività lavorativa ma più un gioco o passatempo. D’altronde a chi non è capitato di sentirsi dire almeno una volta dai propri genitori la fatidica frase: «Smettila di “giocare” con quel computer, sono troppe ore che stai davanti al monitor, su spegni tutto e vai a trovarti un vero lavoro».

Vero lavoro???

Davvero fare il web designer può essere visto come, permettimi il termine, bighellonare? Perché c’è questa propensione a credere che questo non sia un vero e proprio lavoro? E ancora, come possiamo far capire a parenti e amici che il nostro è a tutti gli effetti un lavoro come tanti altri?

Cerchiamo di rispondere con ordine alle varie domande che ci siamo posti.

Perché il web designer spesso è visto come un fannullone?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo prendere in considerazione lo scenario storico che stiamo vivendo.

In questo preciso momento ci troviamo all’interno di un profondo cambiamento economico e sociale, qualcosa di simile a quello che nell’800 – con la rivoluzione industriale – mutò profondamente l’economia dell’Europa e in seguito dell’intero pianeta.

Oggi l’informatica e internet stanno rivoluzionando tutti quei vecchi sistemi economici su cui molte aziende avevano basato le loro certezze. Questo repentino cambiamento sta generando nuove figure lavorative e nuovi modi di fare business.

Tutto è in continua mutazione, ogni giorno nascono nuove professioni e ne scompaiono di vecchie: così ci ritroviamo annunci di lavoro che cercano esperti di persuasive marketing, SEO e Social Media Marketing, Web Marketing Strategist, web concept designer, web developer e tantissimi altri dai nomi ancora più assurdi come appunto quello del uebbdesainer :)

Vivendo all’interno di questa “rivoluzione informatica” è normale che chi – come molti dei nostri genitori – appartiene alla passata generazione si senta del tutto disorientato e confuso. Loro erano abituati a ben altri tipi di mestieri: il calzolaio, il falegname, il panettiere, il salumiere, o quelli che erano considerati i mestieri d’elite: l’ingegnere, l’avvocato, il notaio, il medico.

La risposta al nostro interrogativo a questo punto è semplice: come potrebbero mai comprendere il valore di una professione che per loro non è mai esistita e mai esisterà?

Da qui a dare del fannullone o etichettare come “gioco” il lavoro di qualcuno che passa il suo tempo davanti ad un monitor, il passo è breve. Ma tra cinquanta anni o cento anni – se riusciremo a sopravvivere alla profezia dei Maya e al nostro tentativo di autodistruzione :) – tutte queste professioni saranno entrate nella prassi, e allora quella del web designer sarà una normalissima attività lavorativa come tante altre.

Perché molti credono che quello del web designer non sia un lavoro ma un gioco?

C’è anche gente che – pur non appartenendo alla passata generazione (quindi non rientrante nel caso analizzato in precedenza) – considera un “gioco” il mestiere del web designer.

Anche qui si parte sempre da un presupposto d’ignoranza dovuto al fatto che parliamo sempre di una nuovissima professione, ancora per molti del tutto sconosciuta.

Se ancora oggi tantissima gente – compresi imprenditori, manager, responsabili marketing, interi governi, ecc. non solo persone comuni come amici e conoscenti – non ha assolutamente compreso l’importanza e la potenza dello strumento internet, come potrebbe mai concepire il valore di chi lavora dietro le quinte di questo mondo?

Il problema è sempre il medesimo: ci troviamo in una vera e propria rivoluzione e ci vorrà del tempo affinché questi cambiamenti possano iniziare a diventare una consuetudine nel nostro sistema sociale/economico.

Tutt’oggi non abbiamo neanche un valido sistema formativo necessario a formare le tantissime nuove figure lavorative richieste da questo grande cambiamento.

Come dimostrare che non si tratta di un gioco?

Come dimostrare allora le nostre competenze? Come far capire ad amici e conoscenti che non stiamo perdendo il nostro tempo “giocando” con un computer?

Iscrivendoci a un albo?

Ogni tanto sento dire a qualcuno dei miei amici/colleghi che la soluzione sarebbe l’istituzione di un albo professionale per la professione del web designer. Ma siamo proprio sicuri che la creazione di un albo professionale possa bastare e servire davvero a dare la giusta “importanza” al nostro lavoro?

Gli ordini professionali hanno origine storica nelle corporazioni medioevali. Con il tempo però molti di questi ordini professionali si sono lasciati trasformare in delle vere e proprie lobby di potere che dettano legge a “molti” sulla base del tornaconto economico di “pochi”.

Il mio dubbio è: molte persone da diversi anni si battono per l’abolizione degli albi professionali e noi vogliamo andare in controtendenza creandone uno nuovo?  Quanti medici, ingegneri, avvocati ecc sono oggi regolarmente iscritti ai rispettivi albi senza avere la più pallida idea di come svolgere professionalmente il loro lavoro? Può la semplice iscrizione a un albo attestare realmente l’abilità dell’iscritto?

E allora come dimostrarlo?

Io credo che uno dei modi che abbiamo a disposizione per dimostrare quanto realmente valiamo – in questo momento di cambiamento e confusione generale – è con i fatti. Come con i fatti?

Ti racconto la mia storia, anche se non mi piace molto parlare di me.

I primi passi

Io ho iniziato a “smanettare” con il mio primo computer verso la metà/fine degli anni ’80. E fu subito amore :)

Il caso volle che insieme al computer il negoziante mi regalasse anche un manuale di programmazione sul linguaggio Basic. Quella fu la mia prima lettura da autodidatta.

Avevo circa tredici anni e mi divertivo già a sperimentare creando piccoli “programmi” con questo strano linguaggio, mentre mio fratello – di quattro anni più piccolo – si divertiva con i primi giochi.

In quel periodo la mia famiglia non aveva certo la disponibilità economica per comprarmi una stupida roulette con cui provare l’ebbrezza del gioco d’azzardo, così uno dei primi programmi che realizzai – grazie al mio computer e a quel linguaggio che stavo studiando – simulava proprio il gioco della roulette. :)

Gli ostacoli: la guerra fredda in famiglia

Mio padre non era assolutamente in grado di comprendere il diverso approccio con cui io e mio fratello utilizzavamo il computer. Per lui perdevamo entrambi il nostro tempo – che era sottratto allo studio – “giocando” con il PC. Così nacque una sorta di guerra fredda in famiglia, con mio padre che un giorno si e l’altro pure nascondeva l’alimentatore del PC nel tentativo di non farci “distrarre” troppo.

Gli anni passavano e “grazie” a questa guerra fredda io a un certo punto decisi di smettere con l’uso del PC, del resto non potevo programmare per due giorni e poi essere costretto per un mese o due a fermare tutto perché mio padre aveva nascosto l’alimentatore: ogni volta mi toccava ricominciare quasi da zero.

E così presi altre strade, m’iscrissi a un corso di laurea (ingegneria meccanica, che successivamente abbandonai) di cui non me ne fregava assolutamente nulla solo per far contento papà che voleva per me quello che lui non era riuscito ad avere per sé.

A questo punto arriva anche il momento di cercare lavoro, mi sento “adulto” e pronto a lavorare per essere indipendente. Mio padre mi fa una proposta: ha intenzione di aprire un’attività commerciale e mi chiede se sono disposto a collaborare con lui. Io accetto. Siamo già nel ’96.

Il lavoro che non volevo

Così mettiamo su una bella attività commerciale nell’ambito dei prodotti ittici. L’attività pian piano ingrana e va a meraviglia. Lo spettro della povertà che ci ha assillato per anni finalmente sembra non minacciarci più.

Io di pari passo, con i primi risparmi messi da parte, acquistai di nuovo un PC: mi sentivo “grande”, indipendente, lavoravo, mio padre non poteva più nascondermi l’alimentatore :)

Eravamo già nei primissimi anni di internet in Italia, anzi a dire il vero in Italia c’era ancora poco e niente, la maggior parte del “materiale” si trovava “fuori” dai confini nazionali e rigorosamente in lingua inglese. Meno male che l’inglese mi piaceva ai tempi della scuola e quindi riuscivo a leggerlo abbastanza bene.

Così iniziò la mia doppia vita: di giorno lavoravo nell’attività commerciale con mio padre, la sera fuori con gli amici e la notte (da mezzanotte circa fino alle quattro, a volte anche le cinque) dietro quel monitor del PC. La mattina avevo la sveglia alle sei e mezzo, andavo a lavoro con le occhiaie sempre più pronunciate (al punto che arriveranno a far parte di me) e tutte le notti sistematicamente continuavo i miei studi grazie al PC.

Beh, per uno che sin da piccolo aveva dimostrato amore a prima vista per la programmazione, il passo allo sviluppo web fu breve.

Non mi sentivo per niente soddisfatto del lavoro che svolgevo insieme a mio padre, non era quello che volevo fare, andavo a lavoro svogliato e senza stimoli, nonostante l’attività mi rendeva benissimo e ne ero in sostanza il titolare (insieme a mio padre). Invece la notte quando stavo al PC mi sembrava di “giocare”: il tempo volava mentre studiavo e mettevo in pratica i modelli relazionali dei database.

Per farla breve, nei primissimi anni del nuovo millennio iniziai a esprimere a papà il mio disappunto verso questo lavoro e la mia intenzione di voler cambiare strada, lui non fu assolutamente d’accordo e da buon genitore cercò di farmi riflettere in tutti i modi su quanto potesse valere in quel momento avere un buon lavoro che mi garantisse un ottimo stipendio mensile.

Io capivo benissimo le sue ragioni, ero consapevole di quello che mi diceva ma era più forte di me, non potevo farci nulla. La passione, quando viene dall’anima, non si può domare e tantomeno frenare.

Ritrovare me stesso

In ambito informatico sul curriculum non avevo ancora assolutamente nulla, anche se le mie competenze iniziavano ad essere già abbastanza avanzate (grazie allo studio da autodidatta), decisi così di fare qualche corso e iniziare a prendere qualche certificazione in modo da immettermi nel campo informatico con più serietà e professionalità.

Non provai nemmeno a inviare curriculum in cerca di lavoro, lasciai tutto, avevo 27 anni, feci la valigia, caricai il PC sulla mia macchina (ricordo ancora quel monitor immenso che occupava buona parte del sedile posteriore) e andai in Piemonte (a Vercelli per la precisione) a frequentare un Corso di Formazione Professionale che pagai con i miei risparmi. Facendo i conti, tra spese di vitto e alloggio il corso mi costò più di seimila euro. Ecco perché ti dico di non badare mai a spese quando si tratta di formazione, con il tempo i soldi investiti ti vengono restituiti con gli interessi.

Quel corso mi cambiò la vita.

Ma più che il corso in se, quello che realmente fece la differenza fu cosa sarei riuscito a creare grazie a quel corso.

In classe ero quello più motivato di tutti, venivo dalla Sicilia per studiare e imparare (al sud nei primissimi anni del 2000 era impensabile trovare corsi del genere) e i docenti erano rimasti sbalorditi da questa cosa.

Mentre frequentavo il corso e senza aver inviato ancora il curriculum a nessuno avevo già ricevuto ben quattro proposte di lavoro (di cui alcune davvero allettanti anche dal punto di vista economico):

  • Due offerte di docenza (io… che non avevo mai insegnato!): una nello stesso istituto in cui stavo frequentando il corso e un’altra per un Istituto di Formazione Professionale di Milano dove lavorava il fratello di un mio collega di corso.
  • Un’offerta da un’azienda di Novara dove si lavorava ad altissimi livelli per grandi nomi; avevo svolto un periodo di stage di un mese per loro e a quanto pare li avevo conquistati.
  • Un’altra offerta all’Asus a Milano, dove lavorava il fratello di un altro mio collega.

Alcune di queste offerte richiedevano che io abbandonassi il corso per iniziare a lavorare sin da subito. Altre invece avrebbero atteso che io completassi la mia formazione. Ma io a interrompere la mia formazione non ci pensavo nemmeno.

Rifiutai tutte e quattro le offerte. Nonostante mi fossi trovato benissimo a Vercelli, sentivo il richiamo della mia terra. In fondo in Sicilia non avevo mai provato a inviare nemmeno un curriculum. Sapevo che sarebbe stata dura ma avevo sempre avuto una grandissima fiducia in me stesso e anche questa volta seguii l’istinto.

Finalmente i miei sogni prendono forma

Così finita la mia formazione a Vercelli tornai a Catania e dopo qualche mese (per tutta una serie di “coincidenze”) mi ritrovai ad insegnare in un Istituto di Formazione Professionale a Noto (SR). Grazie alla certificazione presa a Vercelli.

Nel frattempo continuava la mia sete di formazione e la voglia di arricchire il curriculum, così iniziai a studiare e frequentare altri corsi giù in Sicilia (qualcosa iniziava a muoversi anche al sud), e in breve tempo il mio curriculum si arricchì di certificazioni di livello sempre più alto.

In seguito grazie a strambe “coincidenze” e alle nuove certificazioni acquisite trovai lavoro come docente presso uno degli Istituti di Formazione Professionale più validi di Catania, nello stesso tempo avviai una nuova attività imprenditoriale insieme ad Andrea, un mio amico che rientrava a Catania dopo aver fatto un master in e-business in Olanda.

Nell’Istituto dove insegnavo a Catania, da docente diventai presto anche progettista dei corsi. Insomma per farla breve (su tutto ciò che è successo da quando sono tornato in Sicilia ad adesso potrei scrivere un libro!) il web e l’informatica sono pian piano diventati il mio vero lavoro a tutti gli effetti.

Dopo un po’ di anni nacquero il blog, il magazine e tant’altro che sta pian piano prendendo forma.  Tutt’ora sono ancora in piena rivoluzione, ma questa è un’altra storia e magari te la racconterò un’altra volta.

Scusa per l’eccessiva divagazione, ora ritorno alla domanda che c’eravamo posti inizialmente: come dimostrare che il nostro lavoro non si tratta di un gioco?

Con i fatti. Oggi guadagno più di quanto guadagnava papà con la sua attività. E lo faccio quasi “giocando” perché è un lavoro che mi piace fare.

Alla luce di questi risultati mio padre può ancora pensare che quando sono davanti al PC sto “giocando”?

Si è dovuto ricredere su tantissime cose e non perché io ho dovuto convincerlo con chissà quali giri di parole. Si è dovuto ricredere perché gli ho risposto con i fatti! Non parole.

Si è talmente ricreduto sulle potenzialità di Internet che, all’età di quasi sessant’anni e costretto a una pensione forzata per motivi di salute, mi ha chiesto di insegnargli ad usare il computer e a navigare sul web, perché vuole colmare le sue lacune e sentirsi più vicino a me. :)

Conclusione

Come puoi vedere non c’è un’età e non c’è un unico percorso formativo. Tutto dipende semplicemente da quanta passione hai dentro e da quanto sei disposto a fare per raggiungere i tuoi sogni. Se avessi dato ascolto a mio padre, sarei ancora li, a svegliarmi ogni mattina sapendo di dover fare un lavoro che non mi piace fare.

Questa non è la storia di Steve Jobs, ma è la storia di un normalissimo ragazzo come te che grazie alla sua passione è riuscito a fare quello che veramente desiderava. Se anche tu sei mosso dalla stessa passione, ti do un consiglio: non fermarti al primo ostacolo e non permettere mai a nessuno di fermarti, questa è la TUA vita! E la vivi una volta sola.

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L'autore

Nando è fondatore di Edi Group, società di Comunicazione e Formazione fondata nel 2005. È inoltre Trainer Microsoft e docente di Webdesign con anni di esperienza, anche in qualità di progettista, in corsi di Formazione Professionale regionali e privati. È stato speaker in diverse prestigiose conferenze, anche per conto di Microsoft Italia. Tiene abitualmente corsi di formazione presso le aziende. È autore di diversi libri sul Web Design, in italiano ed inglese. +

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